Proteggere i dati privati del proprio Mac

Per nascondere i propri file da persone non autorizzate esistono dozzine di tecniche, ma proteggere in maniera efficace i propri dati dagli occhi indiscreti (anche di un professionista) può diventare un’operazione complicata e dispendiosa in termini di tempi.
Con l’utilizzo del nuovo Cryptomfs la sicurezza dei dati sensibili è alla portata di tutti. Il programma, realizzato da Christoph Hohmann permette di creare e montare un volume protetto da password e dal dimensionamento incrementale. Cryptomfs utilizza infatti una directory (un pacchetto con estensione cryptofs) per memorizzare i file crittografati, ed accessibili soltanto inserendo la password impostata alla creazione del file cryptofs.
Il supporto ad Accesso Portachiavi, permette di risparmiare l’inserimento della password quando vi si accede dal proprio account, tuttavia da qualsiasi altra postazione bisognerà avere questa chiave, altrimenti i file verranno visualizzati solo con le informazioni relative al peso ed alla data di modifica e creazione, ma l’accesso sarà impossibile.
La creazione di nuovi filesystem è estremamente semplice, ogni volume può avere il nome preferito ed una icona personalizzata, ma la caratteristica interessante è la compatibilità con altri Sistemi Operativi, funzione fondamentale per chi ha l’esigenza di cambiare spesso piattaforma.
Il download di Cryptomfs si effettua gratuitamente dalla pagina dello sviluppatore. Per poter funzionare richiede Mac OS X 10.5 (Leopard) e l’installazione di MacFUSE, anch’esso gratuito.

Scansioni di diapositive… senza scanner

Chi viene da un passato di fotografo, amatoriale o professionista che sia, avrà certamente in un cassetto numerose diapositive non ancora digitalizzate per problemi di tempo o perché il costo di tale operazione risultava, fino a qualche tempo fa, ancora proibitivo. Acquistare uno scanner per diapositive ha ancora un costo rilevante, comprare uno scanner piano con funzionalità di acquisizione per trasparenza non offre invece risultati ottimali, infine rivolgersi ad un centro fotolito per questo genere di scansioni è una scelta valida solo ai fini professionali.
Fortunatamente le macchine fotografiche digitali di oggi hanno quasi tutte due prerogative che fanno al caso nostro. La prima è l’elevata risoluzione, grazie all’utilizzo di moderni CCD, la seconda è la funzione macro, che permette di fotografare oggetti piccoli a distanze ravvicinate con risultati eccellenti, purché ben illuminati.
Possiamo approfittare di queste caratteristiche per acquisire immagini digitali alle nostre diapositive senza particolari attrezzature fotografiche. L’unico accessorio che dovremo realizzare è un distanziatore tra l’ottica e la diapositiva, ma per fare questo basterà un rotolo consumato di carta igienica.
Tagliamo il rotolo di carta a tre quarti della sua lunghezza e posizioniamolo intorno all’ottica della macchina fotografica. Se non abbiamo la possibilità di fissarlo non preoccupiamoci, provvederemo ad appoggiare la macchina su una superficie piana con l’ottica rivolta verso l’alto.
Se la sala di posa è sufficientemente illuminata ci accontenteremo del soffitto (possibilmente bianco) come fonte luminosa, altrimenti potremo eseguire l’operazione all’aperto ed usare il cielo (possibilmente grigio) come illuminazione. Basterà impostare la macchina in automatico, con l’opzione “macro” attivata e l’autoscatto inserito. Una volta piazzata la diapositiva al centro del rotolo di carta igienica basterà premere a metà corsa il tasto di scatto per effettuare la ripresa la messa a fuoco automatica e poi schiacciare a fondo il tasto dello scatto. Dopo i dieci secondi (spesso variabili) del timer avremo salvato la nostra vecchia diapositiva sulla scheda di memoria della fotocamera.
Qualche piccolo aggiustamento relativo al taglio ed alla correzione del colore completerà l’opera, avremo attenuto così un risultato assolutamente soddisfacente, a questo prezzo.

Google e la "copia cache"

La cache è uno strumento dell’informatica del quale si può parlare in maniera molto generica per facilitarne la comprensione. In due parole la cache mantiene una copia dei dati ai quali si accede con maggiore frequenza. Immaginiamo di avere un’enorme quantità di dati da consultare, per accedervi occorrerà un tempo fisico variabile legato a molti fattori in gioco. L’utilizzo della cache permette di velocizzare quest’accesso poiché i dati, già letti in precedenza, sono stati conservati in un archivio temporaneo più veloce, la cache appunto. Solo se questi dati non sono presenti nella cache, o sono stati modificati, vengono consultati nell’archivio (logicamente più lento) della memoria “principale” in cui risiedono i dati. Essa, nei computer per esempio, permette di superare limiti imposti dall’attuale lentezza degli Hard Disk.
Entrando nel dettaglio esistono molti tipi di memoria cache ed affrontarli tutti in poche righe sarebbe impossibile, poiché fanno parte di quegli strumenti che, lavorando in background, riescono a rendere più agevoli le operazioni quotidiane ed a molti utenti non interessa sapere altro.

Nel motore di ricerca Google, che su questa tecnologia basa le sue funzionalità, c’è però un lato intrigante della cache. Non è raro infatti trovare un link non funzionante tra i suoi risultati, poiché non ancora aggiornato nel suo database.
A questo punto si può fare un discorso inverso e sfruttare questa memoria per accedere a dati su Internet ormai non più accessibili (per vari motivi) scavando nella cache che Google mette a disposizione, definendola una “copia di backup nell’eventualità in cui la pagina originale non sia disponibile”. La cache di Google, che tutti abbiamo notato senza forse darle il giusto peso, può rivelarsi fondamentale per recuperare (ad esempio) il testo di una pagina accidentalmente persa del proprio sito, per “indagare” su potenziali truffatori che dopo esser stati scoperti cercano di far perdere le proprie tracce, ma può essere anche usata a scopi meno nobili, quali recuperare informazioni eliminate (dagli amministratori o dalle autorità) su siti che in passato hanno trasmesso materiale illegale. Un esempio banale, se su un sito pulito come answers.yahoo.com si trovano commenti relativi ai numeri seriali di Photoshop, è facile che questa pagina possa essere rimossa da chi modera la community, ciò non toglie che per molto tempo ancora la pagina incriminata sarà elencata tra i risultati di Google e raggiungibile dalla Copia Cache.

Insomma la cache, è uno strumento potente, ma anche pericoloso, che quando non è più buona (come può accadere sul computer) o legale (come può capitare sul Web) può compromettere la stabilità di tutto il “sistema”, nel senso esteso del termine.

Portare l’Account su un disco esterno

In diverse occasioni sarebbe utile avere la possibilità di portarsi appresso il proprio Account o una versione minimizzata dello stesso. Può capitare di trovarsi altrove e avere la necessità di continuare l’attività lasciata in sospeso e non poter portarsi appresso il Mac. Può capitare di voler avere la propria posta, i propri contatti la propria libreria di immagini o di musica su un dispositivo portatile. Insomma le applicazioni sono molte, e spesso legate anche alla possibilità di utilizzare una postazione altrui senza compromettere il normale stato degli altro Account.
Alla domanda “È possibile portarsi in tasca un Account di Mac OS X per usarlo su un altro Mac?” la risposta potrebbe essere negativa, ma dall’introduzione di Leopard c’è una funzionalità non tanto conosciuta, che è quella di poter trasferire e spostare un proprio account su un disco removibile, quale possa essere anche una pratica pen drive USB.
Bisognerà soltanto che il Mac “ospite” abbia un Leopard aggiornato possibilimente con la nostra stessa versione di Mac OS X, che per comodità potrebbe essere l’ultima release.
La procedura è tanto facile quanto “nascosta”. Bisogna innanzitutto creare un nuovo utente (anche amministratore) da Preferenze di Sistema > Account, chiamandolo, per esempio, “penna”. A questo punto usciamo dall’utente abituale ed entriamo con il nuovo Account “penna”. Colleghiamo la periferica USB, nel nostro caso una pen drive e spostiamoci in Macintosh HD/Utenti/. Preoccupiamoci di copiare la cartella HOME, che si chiamerà appunto “penna” sull’unità esterna ed usciamo dal nuovo Account per entrare nel nostro utente abituale. Apriamo di nuovo Preferenze di Sistema > Account per poi cliccare con il tasto desctro (ctrl+clic) sul nuovo account per accedere alle Opzioni Avanzate dell’utente.
In questo menù cambiamo il percorso della cartella Inizio da /Users/penna indicandogli la nuova Home esterna, che potrebbe essere un eventuale /Volumes/NOME_VOLUME/Leopard Users/penna ed il gioco è fatto. Confermiamo la modifica, usciamo da Preferenze di Sistema e andiamo in Macintosh HD/Utenti/ per eliminare il vecchio utente “penna” a mano. A questo punto possiamo entrare con l’utente esterno a patto che la penna sia stata precedentemente collegata.
Discorso simile, ma più semplice, per quando dovremo utilizzare il nostro Account portatile su un altro Mac con la stessa versione di Leopard. Sulla memoria esterna sarà possibile trasportare anche alcune applicazioni che naturalmente conserveranno le nostre impostazioni, ma (tranne alcune eccezioni) solo quelle senza installer, e cioè che si installano con un semplice Drag & Drop. Dovremo creare un nuovo utente amministratore (anche con un nome diverso) e con il tasto destro indicargli il percorso esterno. Ed il gioco è fatto.
NB: L’eliminazione dell’Utente “penna” da Preferenze di Sistema non eliminerà fisicamente la cartella aggiunta sul drive esterno, nemmeno se collegato, ma eliminerà solo il suo “ricordo” dal Sistema del Mac, eliminando ogni traccia del prestito di questo servizio.

L’Apple Hardware Test per Mac

L’Apple Hardware Test esegue una serie di verifiche sui componenti hardware del Mac.
Può capitare di dover ricorrere a questo tipo di strumento per risalire ad un malfunzionamento del computer.
Molti utenti trovano istruzioni in rete differenti per eseguire l’Apple Hardware Test sul proprio Mac ed a volte discordanti, il motivo è dovuto dal fatto che la procedura iniziale cambia se ci si trova su un PPC o su un Intel.
Apple ha recentemente aggiornato una nota tecnica che descrive l’utilizzo di questo sistema diagnostico, ma solo su Mac con processore Intel.
Come comportarsi invece quando il malato è un Mac con processore PPC? Più o meno allo stesso modo:
Inserire il disco n.1 di Sistema fornito all’acquisto in bundle e spegnere il Mac. Scollegare tutti i dispositivi esterni aggiuntivi (stampanti, hard disk, scanner e così via) tranne logicamente la tastiera Apple ed il mouse, rigorosamente con il cavo.
Accendere il Mac e (se si possiede un Mac con processore Intel) premere immediatamente e tenere premuto il “D” fino alla comparsa dell’icona di avvio dell’AHT.
Se invece si possiede un Mac con processore PPC (G5 o G4) e non è presente un apposito CD dedicato, inserire il disco 1 di Sistema e premere il tasto ALT all’avvio (o il tasto menù sul telecomando Apple Remote) finché non compare la schermata di selezione del disco di avvio. A questo punto basta cliccare sull’icona di avvio dell’AHT e proseguire.
Dopo qualche minuto sarà possibile selezionare la lingua desiderata e confermare la scelta.
È possibile scegliere quale tipo di test eseguire: Per effettuare tutti i test di base, fare clic sul test o premere il tasto “T” seguito da invio; per eseguire un test diagnostico esteso, selezionare l’opzione “Esegui test esteso”.
Il test può durare anche a lungo, specialmente quello esteso, al termine verranno visualizzati i risultati nella finestra in basso. La scheda di profilo hardware AHT fornisce informazioni specifiche sul Mac sotto esame, per accedere a queste informazioni basta cliccarci sù e selezionare una relativa voce.
Per uscire dall’AHT è sufficiente cliccare su Riavvia o Spegni nella parte inferiore della schermata, nel primo caso il disco verrà espulso automaticamente.
Tuttavia questo strumento, incluso in tutti i Mac da qualche anno a questa parte, non è estremamente completo e universale come quello utilizzato dal Servizio Tecnico Autorizzato Apple (Apple Service Diagnostic – Dual Boot), ma è destinato esclusivamente al modello con il quale è stato fornito e si rivela comunque una gran bella comodità.
Aggiornamento:
Chi avesse smarrito o danneggiato il disco originale contenente l’AHT, potrà eseguire il download (solo per processore PPC) dell’Apple Hardware Test come immagine disco da masterizzare. L’importante è selezionare il download in base al modello esatto del Mac da diagnosticare.

Aggiornamento 2016:
Il link Apple non fornisce più supporto, ma qui trovate il download di tutte le versioni di AHT disponibili sui link “nascosti” da Apple, sia per PPC che Intel

Riparare i permessi del disco

Apparentemente il titolo dell’articolo e la sua testata grafica potrebbero sembrare scoordinati, eppure un legame c’è! Sul numero di febbraio di Macworld (la rivista italiana dedicata al Mac), un utente Mac in difficoltà chiede aiuto nella rubrica SOS Mac OS:
“Ho problemi con Utility Disco che non mi verifica e ripara i permessi. Ho allegato la schermata per segnalare il problema. La cosa succede da quando ho installato la chiavetta USB di Tim per Alice Mobile. Ho provato a disinstallare il software della chiave USB, ma i permessi rimangono bloccati. Ho fatto anche la verifica del disco ed è tutto ok. Cosa devo fare?”.

L’amico lettore ha una brutta gatta da pelare, però sa di poter confidare nell’aiuto della redazione di Macworld, che ogni mese risponde (e felicemente risolve) i problemi dei numerosi lettori della rivista. Purtroppo stavolta l’ottimo Roberto Cattaneo è “andato liscio” e non coglie la strada giusta, anche perché non scaricando il driver del modem TIM non ha riprodotto l’evento sul suo Mac.

Infatti dietro ad un’apparente questione di struttura del disco e di directory danneggiate c’è qualcosa di molto grave, non perché Mac OS X non funzioni bene, ma perché (incredibile) l’installer del software ONDA-TIM Connection Manager, dopo aver chiesto e ricevuto la password di amministratore in fase di installazione, distrugge senza pietà gli elementi contenuti in Libreria/Receipts, incluso il database relativo alle ricevute degli installer e alle dipendenze dei permessi, insomma butta tutto. Non sarà possibile ripristinare la situazione se non archiviando e installando Mac OS X ex-novo, ma attenzione, alla successiva installazione del software ONDA Connection Manager (o Alice MOBILE) la possibilità di ritrovarsi al punto di partenza è elevata.

Come fare allora per installare questa versione così disgraziata del programma? Ci sono almeno due strade.
1 Loggarsi da root, comprimere la cartella Receipts ed installare il software, successivamente basterà buttare la vuota e recuperare la piena scompattando il file Receipts.zip;
2 (consigliato) Utilizzare Pacifist per aprire l’installer ONDA-TIM Connection Manager e installare con esso tutti i componenti richiesti.
A questo punto basterà un riavvio per ritrovarsi un Mac funzionante ed una chiavetta Ducati Corse MDC525UP pronta a ruggire. Rimane l’enorme punto di domanda alla quale forse non avremo una risposta: Chi e perché ha realizzato quest’ultima versione di ONDA-TIM Connection Manager in maniera da debilitare Mac OS X nella riparazione dei permessi e nell’aggiornamento software? La pagina dedicata sul sito di Alice illustra chiaramente come installare passo passo il programma, spingendo l’utente a rendersi complice inconsapevole della manomissione di Mac OS X. Va escluso Leopard dalla lista dei presunti colpevoli, poiché il disastro si verifica anche su Tiger.

Individuare e rimuovere il trojan iWorkServices.pkg

Come ben sapete da giorni, chi ha voluto scaricare una copia pirata di iWork ’09 potrebbe essersi imbattuto in un pacchetto appositamente modificato della Suite di Apple.
Intego, (scopritore del malware) non dice esplicitamente come liberarsi da questo pericolo e propone logicamente una delle sue soluzioni “a pagamento”.
Premesso che la pirateria è un crimine, specialmente verso Apple, bisogna fare molta attenzione a quanto letto in giro, poiché ad essere stata modificata non è una versione “retail”, bensì una comune iWork09Trial.mpkg, quindi l’informazione diffusa in rete dai vari blog (italiani e stranieri) è completamente fuorviante, cioè chi voleva andare tranquillo e accontentarsi di una versione Trial presa da BitTorrent è rimasto comunque fregato.
Allora, come fare per riconoscere la versione modificata?
L’unica differenza visibile a occhio umano è che all’interno del pacchetto dell’installer Contents/Packages ci sono 5 elementi, l’abusivo è iWorkServices.pkg creato la notte dell’8 gennaio, forse un po’ presto per essere stato realizzato da un “esterno”, a meno che l’azione non fosse estremamente premeditata e pronta. Logicamente anche il file iWorkTrial.dist è stato modificato nel codice, con l’aggiunta della stringa line choice=’iWorkServices’/. Quindi se questi elementi sono presenti significa che la copia Trial che abbiamo scaricato è infettiva!

Urge controllare rapidamente che il nostro Sistema non sia infetto: apriamo la cartella Macintosh HD/Sistema/Libreria/StartupItems ed accertiamoci che non ci sia la cartella iWorkServices; se questa invece è presente abbiamo un Trojan in azione e dobbiamo liberarcene subito! Ho appena scoperto che in rete ci sono diversi sistemi per rimuovere il demone, tuttavia la mia intenzione è quella di farlo semplicemente dal Finder e senza applicazioni esterne (ne esistono già di gratuite, a pagamento e addirittura dei truffaware) evitando ulteriori residui o complicati comandi dal Terminale.
È importantissimo chiudere tutti i programmi, scollegarsi da Internet ed abilitare la visibilità dei file invisibili.
Per liberarci dal trojan basterà seguire questi tre passi e riavviare al termine.
1) Spostare la cartella in questione nel cestino battendo la password di amministratore alla richiesta
2) Andare nella cartella invisibile (raggiungibile dal Finder su Vai > Vai alla cartella… incollando il percorso) /usr/bin/, e rimuovere il file eseguibile iWorkServices
3) Accertarsi che nella cartella /private/tmp/ non ci siano i file invisibili .iWorkServices e iWorkServices.pkg e riavviare

Solo dopo il riavvio sarà possibile vuotare il cestino con gli elementi altrimenti ancora in uso e ricordiamoci che i software vanno pagati, specialmente quando sono così belli e costano così poco.
Buona disinfettazione a tutti i pirati… da 4 soldi.

Fare il backup di sms dall’iPhone

C’era una volta Syphone di Micromat, un utile programma che andava installato sul Mac per operare alcune azioni sugli SMS salvati nell’iPhone. La funzione più importante era quella che permetteva di importare ed esportare gli SMS dal telefono con la visualizzazione in stile iChat, ma offriva anche la consultazione della Rubrica Indirizzi e la visualizzazione del numero di messaggi inviati (e ricevuti) per ogni contatto offrendo il supporto a più di un iPhone contemporaneamente.
Purtroppo dall’aggiornamento al firmware 2.2 il software non funziona più e chi non poteva farne a meno ora si trova in difficoltà. In attesa del rilascio di un aggiornamento da parte di Micromat (l’ultimo risale al 10/22/2007) vi spieghiamo come fare a utilizzare Syphone con l’iPhone munito di firmware 2.2.

1- Scaricare e installare e lanciare Syphone sul proprio Mac
2- Connettere al Mac l’iPhone tramite cavo USB
3- Lanciare il file SMSDaemon che si trova in Utenti/(nome utente)/Libreria/Application Support/Syphone/

A questo punto l’iPhone è riconosciuto da Syphone e dalla schermata del software sarà possibile importare ed esportare i propri SMS anche in formato xml o pdf.
Un particolare ringraziamento a BioMac (Michele Libutti) per la realizzazione di questo Tips.