Information wants to be free

Information wants to be free scriveva Stewart Brand nel suo giornale The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della generazione di Steve Jobs: vi ricordate il famoso motto “Stay Hungry, Stay Foolish” (dal discorso ai laureati a Stanford)? Queste erano le parole della didascalia di una foto pubblicata sul giornale e che erano rimaste impresse, indelebili nella mente e nel cuore di Jobs.
Brand fu un autentico protointernauta. Brand ha sempre creduto nell’importanza della disponibilità delle informazioni, sicuro del fatto che il patrimonio del sapere e della conoscenza in genere dovesse essere condiviso dal numero più ampio possibile di persone.
E l’emancipazione sociale ha come chiave di volta proprio l’accessibilità della conoscenza a tutti.
…segueIl suo intento con il Whole Earth Catalog era quello di rendere disponibile agli uomini ogni sorta di informazione utile. Accessibilità come meme.. che fa il paio con sostenibilità: e giustapponendo allo scambio libero delle informazioni, la visione delle tecnologie come approccio dal punto di vosta ambientale per l’integrità e l’integrazione culturale, Brand afferma chiaramente che le più avanzate tecnologie non rappresentano il problema, ma casomai sono la soluzione a tanti problema esistenti.
Palese è l’incrollabile fiducia nell’uomo con la quale Brand sa guardare al domani. Alcuni hanno visto in lui solo un visionario affetto da tecno-utopismo, oppure forse Brand aveva visto guisto nel sostenere che se all’uomo venisse data la necessaria conoscenza, tutta l’informazione e gli strumenti di cui ha bisogno, egli sarebbe capace di dare una nuova forma più sostenibile al mondo che ha creato?
Innegabile il fatto che l’informazione è incredibilmente utile a chi la riceve e questo genera un dibattito stringente e senza fine sul prezzo, il copyright, la “proprietà intellettuale”, il diritto morale alla distribuzione che sono conseguenti all’arrivo di nuovi strumenti. Insomma una tensione crescente.

Nel settore delle nuove tecnologie vi sono sostanzialmente due tipi di licenze d’uso: le licenze che offrono la “libertà di parola” e quelle, chiamate proprietarie, che la tolgono.
La caratteristica delle prime è proprio quella di dare ai materiali assoluta libertà di copia, oltre che di studio e di modifica, permettendo a tutti di “entrare in gioco” senza alcuna discriminazione.
Di converso le licenze proprietarie vietano la copia del software, anche al solo fine educativo, impedendo lo studio e l’eventuale modifica della logica di funzionamento. Con queste licenze viene sottratto il diritto di parola all’utilizzatore al quale è permesso solo un uso passivo.
Noi siamo quelli della New generation, apparteniamo all’era del web 2.0 che è sinonimo di “conoscenza dal basso” e che ha come metafora della conoscenza quella del flusso.. in continua evoluzione e condivisione libera: siamo alle prese con shared workspaces. Siamo in navigazione verso il web 3.0 e siamo aperti su tutti i canali di comunicazione: email, sns, rss, tag, voIP. Siamo impegnati in una collaboration around informatione&people, un nuovo modo di pensare al lavoro con una nuova generazione di strumenti: piattaforme software, sistemi di comunicazione e dispositivi digitali.

A questo punto sembrano stagliarsi due posizioni:
quella di chi sostiene che “The free exchange of digital information that has defined the personal computer industry, is ending… [..]Microsoft also warned today that the era of “open computing”, the free exchange of digital information that has defined the personal computer industry, is ending.”(via dotgnu.org/danger.html) e questa (Woz.org) di chi ha fatto del libero scambio di informazioni il suo lifestyle, il suo meme: “WELCOME to a free exchange of information, the way it always should be”.

– Titti