Ora, mi rendo conto che tutte questo bombardamento di foto "naturalistiche" possa risultare alla lunga un po' - come dire - stucchevole...
Vi chiedo allora il tempo di riflettere su una breve annotazione filosofica, che tra l'altro spiega molto, se non propio tutto, della passione che mi muove alla osservazione degli animali fin da quando ero bambino, passione che nella didascalia di una foto sopra ho definito, magari in modo un po' oscuro, "esercizio di disidentificazione":
"Li trattiamo [gli animali] con condiscendenza per la loro incompiutezza, per il tragico destino d'aver preso forma tanto al di sotto di noi. E in questo sbagliamo, e sbagliamo di grosso. Perché l'animale non ha la sua misura nell'uomo. In un mondo più antico e completo del nostro, essi si muovono - completi e compiuti - dotati di un'estensione dei sensi che noi abbiamo perso, o che non abbiamo mai raggiunto, ispirati da voci che noi non udiremo mai. Non sono nostri fratelli, non sono nostri sottoposti; sono altre nazioni, catturati insieme a noi nella rete della vita e del tempo, prigionieri con noi dello splendore e del travaglio della terra."
Così scriveva nel 1928 Henry Beston, naturalista e scrittore statunitense. Ho ritrovato questa citazione in esergo al primo volume di una straordinaria collana da poco inaugurata da Adelphi (Carl Safina, Al di là delle parole. Che cosa provano e pensano gli animali, "Animali, 1" 2018). Magari, entrando in libreria, sfogliatelo, vallo a sapere che poi il libro interessa e ve lo acquistate. Concedetemi, per chiudere, di essere moralista, una tantum: spero davvero che questa righe, e quanto portano con sé in profondità di significato, ci diano davvero la capacità di sensi nuovi verso gli animali.