MELA, USA e CINA

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Le società americane che hanno accordi o pensano di stabilire accordi di fornitura con le multinazionali cinesi Huawei e Zte, giganti nella manifattura di cellulari e infrastrutture per telecomunicazioni, dovrebbero “trovare un altro fornitore se tengono alla loro proprietà intellettuale, alla privacy dei loro utenti, e alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America”. Così il presidente della commissione per la Sicurezza della Camera dei rappresentanti Mike Rogers al programma 60 minutes della Cbs, a sintetizzare il dossier di 60 pagine sulle presunte attività di spionaggio operate dalle due aziende ai danni degli Stati Uniti.

Il governo cinese, che controlla i due colossi asiatici, li usa come cavallo di Troia per superare il cordone sanitario creato dalle agenzie di intelligence del governo federale a protezione dei segreti tecnologici americani. Le aziende americane devono cooperare con il governo per ragioni di sicurezza nazionale e anche per proteggere le loro proprietà intellettuali. Questa la tesi del dossier.

I cinesi rispondono negando la continuità tra governo cinese e vertici aziendali e facendo notare che l’integrazione tra aziende tecnologiche americane e cinesi è ormai troppo estesa per provare a invertire il processo.

Su quest'ultimo punto hanno probabilmente ragione: ecco perché, più che l’avvio di un boicottaggio su larga scala da parte del governo degli Stati Uniti nei confronti di Huawei e Zte, la mossa del Congresso sembra aprire una querelle dagli esiti incerti con i colossi industriali americani tirati in ballo.

Praticamente tutte le maggiori aziende americane (ed europee) utilizzano fornitori asiatici per la manifattura di cellulari e infrastrutture per telecomunicazioni. Non è un fenomeno nuovo, ed è certamente diffuso. Come è noto, la stessa Apple produce parte dei suoi telefoni cellulari in Cina.

Il livello di integrazione tra aziende americane e asiatiche (tra cui quelle cinesi, che occupano una posizione rilevante) è avanzato, ed è considerato strategico per consentire alle prime per produrre importanti profitti. Qualsiasi rallentamento nel processo di integrazione apre scenari oggi imprevedibili. Possiamo immaginare che la manifattura torni in America? A che prezzo? E soprattutto, a quale costo per le aziende?

La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che - dal punto di vista della sicurezza nazionale - il problema non è tanto l'importante presenza delle aziende americane in Cina. Queste produzioni di massa hanno poco a che fare con le proprietà intellettuali, che stanno a monte del processo produttivo, a livello di ricerca e sviluppo.

Il problema emerge piuttosto con la presenza delle aziende cinesi in America. In America le aziende cinesi operano senza restrizioni particolari, possono acquistare aziende americane, e acquisire proprietà intellettuali. Così, data la continuità tra azienda e governo cinese, tali proprietà possono essere utilizzati da quest’ultimo per scopi militari. Anche in questo caso si apre una prospettiva nuova: restrizione alle aziende cinesi all’acquisizione di aziende strategiche americane.

Nell’ultimo anno, il governo americano si è mosso esattamente in questa direzione e probabilmente la pubblicazione del dossier su Huawei e Zte è da leggersi in quel contesto.

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