2016: Addio anche a Fidel Castro

Per parlare di qualsiasi altra cosa che abbia poco o niente a che fare col mondo Mac :D

Moderatore: ModiMaccanici

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fragrua
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È morto a Cuba a 90 anni alle 4.29 italiane.
Hasta la victoria, siempre.

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Annata pessima.
Chissà chi sta nascendo o è nato nel 2016 per doversi fare tutto questo spazio. :roll:
La prima cosa su cui devi investire è il benessere del tuo corpo, l'unica cosa che ti porterai nella tomba.
Franz Grua (sarebbe fragrua)

In un mondo perfetto io sarei un essere inutile.
©2015 albertocchio

—> Uso corretto del Forum: https://goo.gl/9xOO0a

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faxus
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Addio amatissimo grande Comandante

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mattleega
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Vai in pace Fidel.

Nessuno, in vita ti ha piegato al suo volere e questo è più di quanto molti-troppi possano dire di sé.

Guarda che però, lassù, forse, c'è un osso duro...
...

L’inerzia soddisfatta dei cittadini è all’origine di quella incredibile malattia che è la servitù volontaria

E se vivremo, sarà per calpestare i re.

Una delle più importanti differenze tra uomini e animali è che questi ultimi non permettono, al più idiota tra loro, di diventare capo branco.

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Susanna
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Nel bene e nel male, penso che sia stato un grande.

La storia della Rivoluzione Cubana e dei suoi protagonisti mi é sempre sembrata molto affascinante, la successiva deriva autoritaria un pó meno.
Spero che i prossimi anni portino buone nuove ad un popolo ed a una terra indimenticabili.

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LeoTM
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Lo giudicherà la storia.

Il mio giudizio è profondamente negativo, ma io non faccio la Storia.

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Accuphase
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r.i.p

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Vedere gente che piange mi fa strano.
Certo non é neanche interessante vedere chi esulta per la sua morte.
Il rispetto certa gente ce l'ha sotto i piedi.

Ma aveva 90 anni, che bella età.
Cosa c'é da piangere non capisco, morire a quell'età é un privilegio.

kext
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Certa gente parla perché ha aria da consumare, mentre altre vorrebbero ma non possono..

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Io ho semplicemente scritto la mia opinione.
Ho visto gente che piangeva dalla disperazione per la sua morte.
Va bene piangere ma fino ad un certo punto per una persona di 90 anni.

A mio avviso ci sarebbe ben altro da disperare in questo mondo.
Se tu la vedi diversamente io ti rispetto.

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faxus
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xChApPiR ha scritto:... una persona di 90 anni...
Si, un uomo di 90 anni, è vero.

Ma un uomo che ha inciso sulla storia del XX secolo, cambiandone anche la direzione.
È un uomo che ha reso la dignità ad un intero popolo che l'aveva persa.
Che non si è piegato allo strapotere economico e militare che governa il mondo.
Che mai è stato corrotto.

Come abbia governato, neanche mi interessa, in questa definizione.
Se il suo popolo lo piange, sono solidale e commosso anch'io.
Merita un rispetto assoluto quella persona di 90 anni, che vivrà nella memoria della sua gente per secoli.

Come sarà ricordato dai popoli liberi di tutto il mondo, a lungo.
Non merita commenti così superficiali.
In questa occasione hanno il sapore di un insulto.

Tu, che proponi della musica in memoria di un amico morto, come hai fatto.
Adesso non risulti più credibile.
Non puoi sostenere che abbiano validità le cose che succedono nel tuo piccolo mondo.
E banalizzare la grandiosità di chi ha scritto la storia.

Si può anche accettare un giudizio negativo o avverso.
Ma non minimizzarlo e svuotarlo di significato.

E poi, ma ti sei chiesto perché delle persone, di tutte le età, lo piangono?
E sono milioni...

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Appunto, delle persone.
Non tutte.
Metá delle persone l'hanno salutato con la frase "un comunista in meno".
L'altra parte ha pianto dalla disperazione come in telegiornale.

Ma no, non si trattava di un insulto.
Non si parla male delle persone che non ci sono più.

Avrà anche fatto delle cose buone, anche se gli Stati Uniti lo volevano morto già da tempo.
Ma per me non c'è bisogno di esultare la morte di una persona.

Commuoversi come dici te é diverso da disperarsi.
Ma vabbé, ognuno faccia quel che vuole.
Non era scritto neanche per sminuire, intendevo che per me non ha senso distruggersi l'anima.
A quell'età si sa che la morte gironzola attorno.

Visto che hai messo di mezzo la musica, di certo non farò cosi quando non ci sarà più il mio compositore preferito, Ennio Morricone.
Sarò commosso, non disperato.

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Peppiniello
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Francé, ma infatti le moltitudini di cubani e di umani a tutte le latitudini che in questo momento come me lo stanno piangendo, tutto sono fuorché disperati, anzi!

Fossimo disperati ne tradiremmo prima di tutto lo spirito ed il messaggio di dignità e amore per la giustizia sociale e l'uguaglianza fra gli umani e fra i popoli!

-Hasta la victoria siempre, Comandante!-

Siamo semplicemente commossi e addolorati, partecipando (intellettualmente, sentimentalmente, storicamente, politicamente, emotivamente) alla dipartita di una delle più grandi personalità fra i giusti degli ultimi secoli di storia dell'umanità, di un uomo che ha avuto il privilegio di essersene andato in pace colmo dell'amore di tutta questa umanità riconoscente.
…. Gli sciacalli di Miami che brindano, ballano e fanno festa, anche adesso che è morto non hanno molto di che gioire. Non sarà facile “seppellire” Castro. Seppellire le sue parole deflagranti e perfette, quelle pronunciate nel suo ultimo discorso alla platea dell’Onu. <Perchè un popolo deve camminare scalzo e un altro viaggiare in lussuose automobili? Parlo in nome di quei bambini che non hanno nemmeno un tozzo di pane. In nome dei malati che non hanno medicinali. Parlo in nome di coloro ai quali è stato negato il diritto alla vita e alla dignità. Qual è il loro destino? Morire di fame? Essere eternamente poveri? Ma allora a che cosa serve la civiltà?>.
Bella domanda, compagno Castro.
Tratto da questo bell'articolo "Fidel Castro. Chi sono io?":

http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=26520" onclick="window.open(this.href);return false;

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L'intervista a Fidel da parte di Oliver Stone:

http://espresso.repubblica.it/internazi ... =HEF_RULLO" onclick="window.open(this.href);return false;

Estraggo da questa:
IL MIO DESTINO

Lei ha dichiarato che il suo destino era quello di combattere senza tregua contro gli americani.
«Sì. Era un pomeriggio del '59. Avevo appena visto degli aerei bombardare delle fattorie sulle montagne. Sia chiaro che non ce l'ho col popolo americano. I cubani, grazie al loro grado d'istruzione, hanno imparato a distinguere fra la politica seguita da un governo, e i semplici cittadini di un dato paese».

Si considera un dinosauro?
«L'esatto contrario. Mi sento come un uccello che esce dal nido. Io volo verso l'eternità. E a volte mi dico che sarei molto contento di ritrovarmi ancora qui nel 3000».
Fidel Castro e la rivoluzione cubana nelle pagine dell'Espresso
Ecco come il nostro giornale, nato nel 1955, ha raccontato i primi anni della Rivoluzione Cubana guidata da Fidel Castro e i rapporti con gli Stati Uniti e l'Urss
http://espresso.repubblica.it/internazi ... o-1.194489" onclick="window.open(this.href);return false;

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Tratto da: http://www.maurizioacerbo.it/blogs/?p=4939" onclick="window.open(this.href);return false;
Eduardo Galeano spiega Fidel a Saviano
il mio caro amico Maurizio Acerbo ha scritto:Dopo aver letto il post banale e unilaterale di Roberto Saviano sulla morte di Fidel Castro mi sono imbattuto in questo brano dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano. Non posso che consigliarne la lettura ai tanti Saviano che in queste ore commentano la morte di uno dei più grandi eroi del Novecento con toni degni di Trump, senza nemmeno avere l’attenuante di essere esuli cubani in Florida.
Eduardo Galeano dal libro Specchi ha scritto:I suoi nemici dicono che è stato un re senza corona e che ha confuso l’unità con l’unanimità.
E in questo i suoi nemici hanno ragione.
I suoi nemici dicono che se Napoleone avesse avuto un giornale come il <<Granma>>, nessun francese sarebbe stato messo al corrente del disastro di Waterloo.
E in questo i suoi nemici hanno ragione.
I suoi nemici dicono che esercitò il potere parlando molto e ascoltando poco, perchè era più abituato agli echi che alle voci.
E in questo i suoi nemici hanno ragione.
Però i suoi nemici non dicono che non fu per posare davanti alla Storia che mise il petto di fronte ai proiettili quando venne l’invasione,
che affrontò gli uragani da uguale a uguale, da uragano a uragano, che sopravvisse a seicento trentasette attentati, che la sua contagiosa energia fu decisiva per convertire una colonia in una patria e che non fu nè per un artificio del Demonio nè per un miracolo di Dio che questa nuova patria ha potuto sopravvivere a dieci presidenti degli Stati Uniti, che avevano il tovagliolo al collo per mangiarla con coltello e forchetta.
E i suoi nemici non dicono che Cuba è uno dei pochi paesi che non compete per la Coppa del Mondo dello Zerbino.
E non dicono che questa rivoluzione, cresciuta nel castigo, è quello che ha potuto essere e non quello che avrebbe voluto essere. Né dicono che in gran parte il muro tra il desiderio e la realtà si fece sempre più alto e più largo grazie al blocco imperiale, che affogò lo sviluppo della democrazia cubana, obbligò la militarizzazione della società e concesse la burocrazia, che per ogni soluzione tiene un problema, l’alibi per giustificarsi e perpetuarsi.
E non dicono che considerando tutte le afflizioni, considerando le aggressioni esterne e l’arbitrarietà interna, questa isola rassegnata però testardamente allegra ha generato la società latino-americana meno ingiusta.
E i suoi nemici non dicono che questa impresa fu opera del sacrificio del suo popolo, però anche fu opera dell’ostinata volontà e dell’antiquato senso dell’onore di questo cavaliere che sempre combatté per i vinti, come quel suo famoso collega dei campi di Castilla.
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L'ho appena letta e voglio condividerla con voi in questo topic dedicato alla celebrazione della memoria del Comandante Fidel, questa bella testimonianza di Gianni Minà, bella oltre che per le cose sacrosante che dice anche per lo stile solito dell'autore: mite, umile, semplice, piano, umano.

Copiata ed incollata da "il manifesto" di Domenica 27 Novembre 2016:

http://ilmanifesto.info/il-comandante-c ... -perderla/" onclick="window.open(this.href);return false;

Il Comandante che ha fatto una rivoluzione senza perderla
Hasta siempre Fidel. Ha lasciato un paese in condizioni migliori di quando lo ha liberato dal dittatore Battista

- Con un esempio palese di assoluta discrezione venerdì se ne è andato da questo mondo il Comandante Fidel Castro, l’unico, nel mondo moderno, che abbia fatto una rivoluzione e non l’abbia persa.

L’unico leader che abbia lasciato un paese in condizioni migliori di quando ha rischiato la pelle per liberarlo dalle prepotenze del dittatore Fulgencio Battista, uno che governava sotto braccio alla mafia.

È singolare che queste realtà, inconfutabili per l’America Latina (Piano Condor, desaparecidos) non siano ancora adeguatamente riconosciute e ricordate da una parte del mondo occidentale che pure, in questi ultimi anni, ha toccato tetti inauditi di empietà perseguitando esseri umani come noi e riempiendosi la bocca con le parole «libertà» e «democrazia», quando in realtà il loro unico «merito» era di essere nati nel posto giusto, al momento giusto.

Questa logica invece era stata ben chiara, fin dal tempo delle insurrezioni studentesche, per il giovane avvocato Fidel Castro tanto che, arrestato per le sue sedizioni, si era difeso da solo in tribunale con una frase che avrebbe fatto epoca: «La storia mi assolverà».

In realtà è più che disonesto, da parte dei farisei di casa nostra (i cosiddetti riformisti) ignorare che Cuba ha pagato, per la testardaggine del suo Comandante, un prezzo altissimo con l’assurdo embargo che dura da più di 55 anni.

E questo solo per aver rivendicato il diritto di autodeterminazione del proprio popolo scegliendo un sistema che non piaceva agli Stati uniti. Insomma una punizione di assoluta prepotenza.

Questo meccanismo perverso ha significato però che il 70% degli attuali cittadini dell’isola sia cresciuto schiacciato, per molto tempo, dalla repressione dell’embargo nordamericano.

Non è sorprendente dunque che questa resistenza fosse il peccato che qualcuno continuava (e continua) a imputare a Fidel Castro malgrado da 10 anni fosse uscito di scena a causa della salute precaria.

Eppure non è un mistero che quasi tutti i premier e i capi di Stato latinoamericani, da anni, facessero sempre, di ritorno dai meeting del nord (Onu, multinazionali) uno scalo a La Havana per sentire il parere del Comandante sul riscatto dell’America Latina e sul futuro da scegliere nonostante le politiche criminali del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale o della Borsa di New York.

C’è addirittura chi è convinto che il ritiro di Fidel abbia messo in crisi l’evoluzione di alcuni processi politici e sociali di altri paesi del sud del pianeta. Non sorprende quindi che, in quasi tutto il mondo, la notizia della sua dipartita è stata trattata con assoluto rispetto, tranne forse da alcuni gruppuscoli di Miami, quelli che hanno favorito il terrorismo organizzato in Florida e messo in atto a Cuba, come Posada Carriles che continua a passeggiare tranquillamente per Miami. Sarebbe ora, anzi, che qualcuno chiedesse la verità agli stessi Stati uniti.

E non è un caso che proprio la Chiesa, coerente con l’atteggiamento di Papa Francesco contro la violenza e la guerra, abbia scelto di impegnare la propria diplomazia per la soluzione di complicate situazioni ferme da tempo scegliendo, due volte, come luogo di pace, proprio Cuba.

Non nascondo che come cittadino del globo, in caccia di verità, ancor prima che come giornalista, io senta ora la mancanza di un protagonista della storia che i critici diranno che ha spesso sbagliato, ma nello stesso tempo si è sacrificato per rispettare i diritti e la dignità di tutti.

Se ne deve essere accorto anche il Papa quando un anno fa è andato in visita privata da Fidel, accompagnato solo da un monsignore e di conseguenza fornendo al mondo un esempio tangibile di sensibilità.

Quella sequenza che ho inserito nel film-documentario «Papa Francesco, Cuba e Fidel» testimonia una tenerezza emozionante. Il Pontefice prendendo la mano di Fidel lo ha esortato: Ehi, de vez en cuando tirame un Padre Nuestro («Qualche volta lanciami un Padre Nostro») ricevendo come risposta dallo stesso Fidel un inatteso: Lo recordaré («Me ne ricorderò»).

Quando 30 anni fa, una combinazione della vita, favorita da Gabriel Garcia Marquez e Jorge Amado (giurati al Festival del Cinema de La Habana), mi permise di conoscere Fidel Castro, mi resi conto subito della personalità di questo protagonista della storia.

Con una ovvia gentilezza gli chiesi prima dell’intervista se, come tutti i capi di Stato, desiderasse conoscere in anticipo le domande. Fu drastico: «No. Con la storia che abbiamo, possiamo aver paura delle parole?».

L’intervista, concessa successivamente, durò 16 ore e fu pubblicata con due prologhi, uno di Garcia Marquez e l’altro di Jorge Amado.

Durante la visita di Papa Francesco a Cuba, a settembre del 2015, ho visto il 90enne Fidel a sorpresa in sedia a rotelle, ma lucidissimo. Qualcuno gli aveva detto che con una troupe stavamo documentando quell’incontro inatteso e pieno di speranze. Ci convocò nella sua villetta e, oltre a spiegarci l’imbarazzante situazione dell’Europa sul problema dei migranti e dei diseredati, si espresse con molto entusiasmo riguardo al Pontefice argentino: «Il suo modo di essere non mi stupisce per niente – spiegò – perché essenzialmente si tratta di una persona molto onesta, molto sincera e disinteressata».

È stata l’ultima volta che l’ho visto.

Avevo la promessa di andare, a metà dicembre, al «Festival del Cinema de La Habana» e di portargli una copia del documentario. Non ho avuto tempo di farlo, ma mi ha colpito, qualche mese dopo, il suo intervento al congresso del partito.

Non tanto la frase: «Presto compirò 90 anni. Non mi aveva mai sfiorato una tale idea e non è stato il frutto di uno sforzo, è stato il caso. Presto sarò come tutti gli altri, il turno arriva per tutti».

Mi ha emozionato questa affermazione piena di speranza: «Rimarranno le idee dei comunisti cubani come prova che questo pianeta, se si lavora con fervore e dignità, è in grado di produrre i beni materiali e culturali di cui gli esseri umani necessitano… Alla gente dobbiamo trasmettere che il popolo cubano vincerà». -

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Murales di Castro e del Che a La Habana© Lapresse

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Mi sono appena ricordato che questa scorsa Estate avevo letto una testimonianza che avevo trovato tra le più belle, colorite ed illuminanti del rapporto dei cubani con Fidel e la rivoluzione castrista; l'ho ritrovata e ve la giro, da "il manifesto" del 13 Agosto 2016, a cura di Geraldina Colotti corrispondente per il quotidiano comunista dall'America Latina:
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La santera che amava Che Guevara
Cuba. Il racconto di Adelaida Victoria de la Caridad, 73 anni e santera da 60: l'incontro con il Che, il rapporto con la rivoluzione e Fidel e il culto praticato dal 70% dei cubani

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Artigli coloratissimi e sigaro in bocca, la Santera giganteggia nella piazza dell’Avana. Sul banchetto ha un cartello che dice «Dalle persone false chiedo solo una cosa: distanza».

Ci invita a sedere, si presenta. «Mi chiamo Adelaida Victoria de la Caridad, ho 73 anni, 8 figli, 18 nipoti e 6 pronipoti, per via del sigaro mi chiamano señora Avana, ho visto varie epoche di questo paese. Sono santera da 60 anni e sto bene con la rivoluzione».

Perché?
Tutti i miei figli hanno potuto studiare, siamo una famiglia di musicisti e ballerini. Da piccola ho visto tanta povertà, analfabetismo. Quelli che vogliono il capitalismo, il consumismo, sono una minoranza, il popolo sa quello che perderebbe. Ricordo un’immagine del Che. Era il 1960. Noi ragazze sapevamo che si trovava al porto dov’era arrivata una nave di riso dalla Cina. Tutti davano una mano a scaricare.

Decisi di andare anch’io, ma non per aiutare, per vederlo. Prima, mi feci preparare un biglietto per lui dalla santeria. Quando lo vidi, carico di sacchi e senza maglietta, gli dissi: «Quanto sei bello con quei sacchi». Rispose: «Qui di bello c’è solo il lavoro, mettiti a lavorare che vedi il bello». Mi sono messa a lavorare. Poi, il Che si sedette su una cassa a riposare e a fumare il sigaro. Anch’io fumavo il sigaro. Mi fece accendere… Tutta quella magia non si è spenta, chi arriva sull’isola se ne accorge.

Ha conosciuto anche Fidel?
Non personalmente, ma la santeria è molto legata a lui. E sono circolate molte storie sulla sua relazione con la religione di Ocha, soprattutto dopo quel viaggio in Guinea in cui lo si è visto vestito di bianco, si è detto che in quel periodo si era fatto santo. Nella santeria bisogna seguire un percorso che prevede una serie di divieti.

Io amo molto la cultura yoruba, che non nasce a Cuba ma in Nigeria, dove gli yoruba vivono da secoli. Quando arrivarono qui gli spagnoli distrussero gli aborigeni e tutti i gruppi etnici, poi dovettero importare gli schiavi africani. Vennero deportati a Cuba bantu, mandinga, yoruba… Ogni gruppo ha portato la sua cultura, la sua religione, i canti al Dio che si chiama Oricha. Oggi, circa il 70% dei cubani pratica la santeria, ma allora il culto era proibito dai colonialisti e i santi cattolici vennero sincretizzati con quelli africani.

Ma né le donne né i gay possono diventare Babalao
No, il gran sacerdote è sempre un uomo, i gay – e ce ne sono molti nella santeria – possono essere padrini, ma non Babalao. E ci sono molte donne nella santeria, anche la rivoluzionaria Celia Sanchez ne faceva parte. E’ un culto antico, praticato nelle società patriarcali basate sulla forza dei cacciatori che provvedevano al mantenimento della famiglia e che da vecchi passavano il sapere e la saggezza a un altro uomo.

Il Babalao è una divinità umana. E’ un culto che però ci dà molta forza. Molti Babalao hanno partecipato alla rivoluzione. Quando Fidel si è ammalato, tutta la santeria ha fatto scudo. Ci siamo riuniti per Chavez. Questo popolo è fidelista e anche quando Fidel morirà resterà sempre in ogni uomo, in ogni donna o bambino che cammina per le strade di quest’isola e dell’America latina: come Gesù Cristo, come Bolivar, come Ho Chi Min, come Chavez… come tutti quegli uomini che sono stati forti e hanno rivoluzionato la storia.

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E leggete cosa dichiara lo storico ambasciatore italiano presso L'Avana, Giuseppe Cassini:

(tratto sempre da "il manifesto" di oggi, Domenica 26 Novembre 2016: http://ilmanifesto.info/fidel-non-fece- ... -menzogna/" onclick="window.open(this.href);return false; )

Fidel non fece mai ricorso alla menzogna

Hasta siempre. Sul piatto vanno messi i tentativi di Fidel di trovare un’intesa con Washington ogni volta che alla Casa Bianca entrava un presidente meno ostile: se nel 1980 Carter avesse vinto un secondo mandato, i rapporti con Cuba si sarebbero normalizzati trent’anni fa

- Solo i Grandi lasciano dietro di sé odi indelebili e ammirazione sconfinata. E solo chi è naturalmente dotato di straordinario carisma suscita emozioni straordinarie. Anche i diplomatici possono provare emozioni: noi giovani diplomatici in servizio all’Avana eravamo emozionati ogni volta che incontravamo Fidel per lavoro o in pubbliche occasioni.

Erano gli anni Settanta. A Washington la Commissione Church aveva avuto il coraggio di scavare nei maleodoranti recessi della Cia e scoperchiare le sue «intrusioni» in mezzo mondo. Quelle che riguardavano Cuba avevano un sapore tragicomico, dato che per far fuori il lìder màximo le avevano pensate tutte: sigari avvelenati, mute da sub cosparse di sostanze letali, polverine depilatorie per rovinargli la barba… Lui ci scherzava su anche con noi: «Se la sopravvivenza ai tentativi d’assassinio fosse una prova olimpica, la medaglia d’oro l’avrei vinta io».

Occorre tornare a quegli anni per capire il castrismo. Cuba non era un Paese latino-americano come gli altri: dal 1898 Cuba era stata di fatto una colonia degli Stati Uniti più o meno come lo è tuttora Portorico. Non era possibile liberarsi dall’umiliante tutela yankee con metodi democratici: chi ci aveva provato (Arbenz in Guatemala, Allende in Cile, Mossadeq in Iran…) era stato spazzato via. Restavano altre due opzioni: il marxismo o il nazionalismo, Karl Marx o Josè Martì. Per proteggersi dalle aggressioni dal nord, Fidel non poteva far altro che ripararsi sotto l’usbergo sovietico: dichiarò dunque di scegliere Marx, ma in realtà optò per Martì. E divenne il caudillo sud-americano che tutti conosciamo.

Ora a Miami chi balla bevendo rum e cantando «Cuba sì! Castro no!» dimostra scarsa umanità e poco cervello. «Ai morti non si deve che la verità» insegnava Voltaire. Perciò, sull’altro piatto della bilancia va messo anzitutto il peso schiacciante dell’embargo nord-americano, disumano e contrario al diritto internazionale. Sul piatto vanno messi i primati raggiunti in campo medico, scolastico, musicale e sportivo da un popolo economicamente isolato; e va aggiunta la produzione culturale che ritrovo sfogliando in casa la ricca biblioteca di letteratura cubana, pur se precocemente ingiallita.

Sul piatto vanno messi i tentativi di Fidel di trovare un’intesa con Washington ogni volta che alla Casa Bianca entrava un presidente meno ostile: se nel 1980 Carter avesse vinto un secondo mandato, i rapporti con Cuba si sarebbero normalizzati trent’anni fa (e noi all’Avana lo sapevamo). Vorrei infine metter sul piatto della bilancia un dettaglio non da poco per un politico di lungo corso: nella sua lunga gestione di potere Fidel Castro non è mai ricorso alla menzogna, non ha mai detto una bugia. Il ché fa una bella differenza rispetto alla genìa dei Nixon-Berlusconi-Trump. -
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Grazie mille a Peppiniello per i link!
Molto bella la frase di Galeano sul fatto che la Rivoluzione Cubana é stata quello che POTEVA essere e non quello che VOLEVA essere, a causa dell'embargo voluto dagli USA, che ha ridotto in povertà l'intero popolo.
Un popolo amato Veramente da Fidel.
Davvero, sarebbe utile per tutti rileggere la storia della Rivoluzione e degli anni terribili del dominio di Batista che, in qualche modo, la determinarono.
L' 'ossessione' di Fidel per l'Istruzione e la Sanità Pubblica hanno portato Cuba ad avere l'alfabetizzazione al 100% ed un indice di mortalità infantile fra i più bassi dell'America Latina e quasi al pari dei paesi europei (Alfabetizzazione 100 %, Italia 99% - mortalità infantile 5x1000 , Italia3x1000, dati 2014. Fonte IndexMundi).
La caduta del blocco sovietico ha privato Cuba di aiuti economici che fino a quel momento avevano reso possibile sopravvivere ad un embargo lunghissimo ed odioso.

Personalmente ritengo che i presupposti teorici della Rivoluzione disegnassero un mondo migliore di quello che il capitalismo ci ha consegnato, pur appartenendo io alla metà' fortunata del pianeta.

A Xchappir mi sentirei di dire che l' "importanza" di un Uomo non é inversamente proporzionale alla sua età: ciò che rappresenta per te Moricone é ben diverso da quello che Fidel rappresenta per un cubano, se mi posso permettere :)

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