Confesso che ho letto il best seller dell’anno: “Cambiare l’acqua ai fiori” di Valerie Perrin.
Dico “confesso” come se fosse un peccato perché il titolo, la copertina e il fatto che fosse da molti mesi ai primi posti delle classifiche di vendita mi facevano pensare a qualcosa di romantico e strappalacrime, e quindi da evitare.
Poi con l’avvicinarsi del natale e l’incombenza dei regali (non mi piace regalare libri senza conoscerli) ho deciso di provare prima con la lettura in formato elettronico.
E mi ha preso fin dalle prime pagine.
Ma come? a me piacciono Thomas Pynchon, James Purdy, Philip Dick, James Ballard, e Arbasino, Manganelli, Calvino… cosa ci faccio con questa storia della guardiana di un cimitero che racconta le storie dei morti ripercorrendo la sua vita con un marito sfaccendato e traditore? dai… vergognati!
E invece il romanzo funziona. Certo non è un capolavoro, ci sono diverse lungaggini, il racconto in prima o terza persona e l’alternarsi di tempi e luoghi non sempre si incastrano benissimo. Ma se il pregio di un libro è tenere avvinto il lettore, allora sì, l’autrice con me ci è riuscita.
Anche prima che comparissero diverse citazioni, spesso ho pensato alle canzoni di Jacques Brel, o di Georges Brassens, e a volte, soprattutto nella parte finale che diventa quasi un noir, mi ha ricordato certi temi di Simenon e di Boileau e Narcejac, autori di “I diabolici” dal quale è stato tratto il famoso film di Clouzot. E il cinema francese non è estraneo a questo libro, infatti l’autrice è una fotografa di scena, moglie del regista Claude Lelouch.
Non è verosimile, come ho letto in alcune recensioni? L’importante è che il racconto funzioni al suo interno. Non dico di più perché sarebbe entrare nei particolari di una trama che invece va scoperta poco a poco, e che da semplice e naif nella prima parte rivela poi aspetti oscuri e drammatici nella seconda.